lunedì 23 novembre 2015

Orazio: le odi II, 14 e III, 30

II, 14
 
Eheu fugaces, Postume, Postume,
labuntur anni, nec pietas moram
rugis et instanti senectae
afferet indomitaeque morti,

non si trecenis quotquot eunt dies,
amice, places illacrimabilem
Plutona tauris, qui ter amplum
Geryonen Tityonque tristi

compescit unda, scilicet omnibus
quicumque terrae munere vescimur
enaviganda, sive reges
sive inopes erimus coloni.

Frustra cruento Marte carebimus
fractisque rauci fluctibus Hadriae,
frustra per autumnos nocentem
corporibus metuemus Austrum:

visendus ater flumine languido
Cocytos errans et Danai genus
infame damnatusque longi
Sisyphus Aeolides laboris.

Linquenda tellus et domus et placens
uxor, neque harum quas colis arborum
te praeter invisas cupressos
ulla brevem dominum sequetur.

Absumet heres Caecuba dignior
servata centum clavibus et mero
tinget pavimentum superbo,
pontificum potiore cenis.
 
III, 30
 
Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
 
annorum series et fuga temporum.
Non omnis moriar multaque pars mei
vitabit Libitinam; usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
 
scandet cum tacita virgine pontifex.
Dicar, qua violens obstrepit Aufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens,
 
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos. Sume superbiam
quaesitam meritis et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam
 
Traduzione
 
II, 14
 
Ahimé fugaci, Postumo, Postumo, scorrono via gli anni, e nemmeno la fede negli dei ritarderà le rughe, la vecchiaia incalzante, la morte invincibile;
neppure, amico, se ogni giorno, quanti sono i giorni che se ne vanno, con trecento tori tu placassi l'inflessibile Plutone, che il triplice Gerione e Tizio (1)
tiene chiusi con la sua triste onda che tutti noi, quanti ci nutriamo dei doni della terra, dovremo attraversare, sia che saremo re o poveri contadini.
Invano eviteremo Marte sanguinoso e il frangersi sordo dei flutti nel mare Adriatico, invano ci guarderemo, nell'autunno, dall'Austro (2) che danneggia la salute:
dovremo vedere l'onda nera del Cocito dalla pigra corrente, l'infame stirpe di Danao (3) e il figlio di Eolo, Sisifo (4) dannato alla lunga fatica.
Dovremo lasciare la terra, la casa, la bella moglie, e degli alberi che ora tu coltivi nessuno, tranne l’odioso cipresso, seguirà te, padrone dalla vita breve.
Un erede più degno di te berrà il Cecubo (5), custodito con cento chiavi, e bagnerà il pavimento con quel vino superbo, superiore a quello che si beve nelle cene dei pontefici.
NOTE
1) Gerione e Tizio erano due giganti: il primo (detto “triplice” perché era dotato di tre corpi) era stato ucciso da Ercole, il secondo aveva tentato di fare violenza a Latona e pertanto nell’Ade due avvoltoi gli divoravano il fegato che gli ricresceva continuamente.
2) E’ lo scirocco, un vento umido, quindi ritenuto portatore di malattie.
3) Sono le cinquanta Danaidi che la prima notte di nozze avevano ucciso i loro mariti. Nell’Ade sono condannate a versare acqua in botti senza fondo.
4) Era condannato a spingere fino alla cima di un monte un masso, che poi ricadeva a valle.
5) Era un vino rosso molto pregiato, che si produceva nel Lazio (nella zona di Formia)
 
III, 30
 
Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo e più alto della mole regale delle piramidi, che né la pioggia che corrode, né l’Aquilone sfrenato potranno abbattere
 
né l’interminabile corso degli anni e la fuga del tempo. Non morirò del tutto, anzi una gran parte di me eviterà Libitina (1); io continuerò a crescere rinnovato dalla lode dei posteri, finché
 
il pontefice salirà in Campidoglio insieme alla vergine silenziosa (2). Là dove strepita l’Ofanto (3) impetuoso e dove Dauno (4) povero d’acque regnò su popoli agresti, si dirà che io, da umili origini divenuto grande,
 
per primo ho trasferito nei ritmi italici la poesia eolica (5). Accetta questo orgoglio conquistato con i meriti e di buon grado, Melpomene (6), cingimi i capelli con l’alloro di Delfi (7).
 
NOTE
1) Libitina è la dea dei funerali, dunque indica, per metonimia, la morte.
2) Il tempio di Giove Capitolino, sul colle del Campidoglio, era meta di processioni solenni. Alle Idi di marzo la Virgo Maxima (la Vestale più anziana) saliva al tempio accompagnata dal Pontefice Massimo.
3) E’ il fiume che attraversa Venosa.
4) Dauno era il mitico re dell’Apulia.
5) La poesia eolica è quella di Alceo e Saffo, fiorita nel VII-VI sec. nell’isola di Lesbo, in cui si parlava il dialetto eolico.
6) Melpomene è propriamente la musa della tragedia, ma qui è nominata come rappresentate dell’intero collegio delle Muse.
7) L’alloro, che consacra la fama poetica, era sacro ad Apollo, che avea in Delfi il suo tempio più noto.
 

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