lunedì 23 novembre 2015

Orazio: gli epòdi X e XIV


 
E’ un’ invettiva contro Mevio, un poetastro, detrattore di Virgilio. Costui sta per partire per la Grecia e Orazio gli augura di fare naufragio. L’epòdo è dunque il contrario di un propempticon, il componimento con cui si augurava buon viaggio a chi si accingeva a partire (come quello che Orazio dedica a Virgilio in Carm. I, 3)
 
Mala soluta navis exit alite
      ferens olentem Mevium.
ut horridis utrumque verberes latus,
      Auster, memento fluctibus;
niger rudentis Eurus inverso mari
      fractosque remos differat;
insurgat Aquilo, quantus altis montibus
      frangit trementis ilices;
nec sidus atra nocte amicum adpareat,
      qua tristis Orion cadit;
quietiore nec feratur aequore
      quam Graia victorum manus,
cum Pallas usto vertit iram ab Ilio
      in inpiam Aiacis ratem.
o quantus instat navitis sudor tuis
      tibique pallor luteus
et illa non virilis heiulatio
      preces et aversum ad Iovem,
Ionius udo cum remugiens sinus
      Noto carinam ruperit
opima quodsi praeda curvo litore
      porrecta mergos iuverit,
libidinosus immolabitur caper
      et agna Tempestatibus.
 
 
XIV

Mecenate assilla Orazio perchè pubblichi i giambi che gli aveva chiesto. Orazio gli risponde che non è il momento: in questo momento la testa è altrove.
 
Mollis inertia cur tantam diffuderit imis
      oblivionem sensibus,
pocula Lethaeos ut si ducentia somnos
      arente fauce traxerim,
candide Maecenas, occidis saepe rogando:
      deus, deus nam me vetat
inceptos, olim promissum carmen, iambos
      ad umbilicum adducere.
non aliter Samio dicunt arsisse Bathyllo
      Anacreonta Teium,
qui persaepe cava testudine flevit amorem
      non elaboratum ad pedem.
ureris ipse miser: quodsi non pulcrior ignis
      accendit obsessam Ilion,
gaude sorte tua; me libertina, nec uno
      contenta, Phryne macerat.
 
 

X
Sciolti gli ormeggi, con funesti auspici salpa
la nave del fetente Mevio:
scatenando i marosi, ricordati di flagellargli i fianchi,
Austro. E il tenebroso Euro nel mare sconvolto
disperda remi infranti e gomene;
sorga Aquilone col nerbo che in cima ai monti
scuote e sradica i lecci;
e nella notte fosca in cui cupo declina Orione
non gli appaia una stella amica.
Né vada per acque piú tranquille del mare
ch'ebbero i greci vittoriosi,
quando Pallade l'ira sua da Troia in fiamme
volse contro l'empia nave d'Aiace.
Oh, quanto sudore attende i tuoi marinai
e come giallo sarà il tuo pallore,
quanti i piagnistei indegni d'uomo, quante le preghiere
che Giove non udrà,
quando, muggendo all'umido vento del sud,
lo Ionio ti frantumerà la chiglia!
Se grassa preda, lunga distesa sul lido,
sarà data in pasto agli smerghi (1),
alle Tempeste immolerò un'agnella
e un caprone lascivo.
 
1) Sono uccelli marini, simili alle anatre.
 
XIV
Mecenate, amico sincero, mi togli la vita quando mi assilli e mi chiedi il perché una molle inerzia mi abbia diffuso nel fondo dei sensi tanto oblio, come se avessi ingollato con fauci riarse bicchieri che inducono ai sonni del Lete.
E' un dio. Un dio mi impedisce di finire i giambi che avevo cominciato, le poesie un tempo promesse. Non diversamente, dicono, per Batillo di Samo (1) arse Anacreonte di Teo, che molto spesso pianse l'amore, improvvisando i versi, sul guscio cavo della lira.
Tu stesso bruci, poveraccio. E se è vero che la fiamma che fece bruciare Troia assediata non era più bella, godi della tua sorte. Me, mi logora la liberta Frine, cui non basta un amante solo.
 
1) Batillo, celebre efebo amato da Anacreonte (lirico greco del VI sec.). E’ anche il nome di un fanciullo fortemente amato (una fiamma più bella di quella che arse Troia) da Mecenate (come riportato anche da Tacito in Annales, I, 54).


 

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